Il titolo poteva essere "I miei primi quarant'anni", ma non avrebbe evocato nello stesso modo l'amore per la Lega e per la "gente del nord". Tra politici e cantanti Marco Reguzzoni, nel suo libro, edito da Rizzoli, compie uno slalom tra gli U2, John Lennon, John Kennedy e Mandela, ma nella sua vita i paletti fermi restano Umberto Bossi, Gianfranco Miglio e Pontida.
"Il posto che mi emoziona sempre è il prato di Pontida. Perché Pontida è magnetica, rappresenta l'anima del nostro progetto, il patto di fratellanza che travalica le generazioni, i secoli e il momento politico. Pontida è il cuore della Lega ed esserci, nel prato o sul palco, è sempre meraviglioso".
Reguzzoni fa una lunga galoppata raccontando il suo percorso politico dentro la Lega nord. Lo fa con un ordine cronologico ricostruendo le varie tappe dentro il movimento da quando ragazzino fu folgorato, come altri sulla via di Damasco che nel carroccio ha un solo nome: Umberto Bossi.
Il libro è un mix tra la propria storia e il pensiero leghista. Diventa interessante quando racconta un proprio vissuto che ha radici nelle sue convinzioni politiche. Il capitolo più autentico è quello "Nei palazzi del nemico" dove racconta l'esperienza romana. Poco credibile come ci sia arrivato e le ragioni che aveva portato a supporto di quella scelta, che lo vide lasciare la Provincia di Varese dopo appena dieci mesi dalla sua "bulgara" rielezione. Si porta dietro ancora oggi gli strascichi di quella operazione. In ogni caso, si sente tutto l'astio per "il Palazzo cerca di stringerti dentro i suoi riti e le sue norme, e intanto ti lusinga con mille tentazioni. (...) «buoni comportamenti» che poco per volta ti porteranno a essere parte del sistema stesso. Da rivoluzionario a componente del regime".
Reguzzoni tesse una tela dove la trama è tutta nel bisogno di raccontare il federalismo. Questo per lui resta la ragione della battaglia politica. "Lo Stato, in Padania ma non solo, è sentito come un peso, un'entità sovraimposta a cui si deve per forza obbedire, un corpo estraneo che ci costa e ci affatica".
Finché racconta di sé e sviluppa ragionamenti e riflessioni politiche sul federalismo il libro ha una sua ragione. Lascia più di un dubbio in alcune parti che sembra scritto per piacere al "capo".
Vero o non vero, che bisogno c'era di raccontare che Renzo Bossi ha passato il tempo dei congressi in braccio a sua mamma ed "è chiaro che uno che è nato e cresciuto così ha il nostro progetto di libertà nel sangue. Ed è per questo che i nostri militanti veri, fuori da logiche di potere e palazzo, vedono in renzo una speranza per il futuro. Uno così non può tradire, non può vendersi, pensano a ragione".
Mah... "tradire", "vendersi", perché usare parole così forti. A cosa si riferisce Reguzzoni?
Per non parlare poi del passaggio su Rosi Mauro o su alcuni militanti locali. Quelli poi che vengono spesso additati come facenti parte del famoso "Cerchio magico".
Marco Reguzzoni ha il pregio della chiarezza e anche della schiettezza. Il suo carattere spesso non lo aiuta, ma di certo non è uno che non si espone. Il libro mette un altro tassello per conoscere anche da dentro un pezzo di storia della Lega.
Certo, dire che è di parte e usa solo alcune lenti è ancora poco, ma del resto l'autore lo dichiara subito.
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