Sono passati due mesi esatti tra la tappa di Morazzone e quella di Vergiate. Cinquantaquattro comuni in nove settimane. È presto per fare bilanci, ma una cosa ce la possiamo dire: è un’esperienza straordinaria.
Siamo partiti con tre grandi obiettivi. Tralasciamo per ora quello legato alla redazione o alla ricerca di modelli economici che sostengano il giornale. Ci vogliamo concentrare solo su quel secondo punto che ci spinse a progettare il 141tour: l’ascolto del territorio. Ebbene, su questo, senza alcuna presunzione, possiamo solo dire che avevamo visto bene.
C’è bisogno di ascolto e di narrazione che vada oltre la notizia, che sappia cogliere aspetti di vita quotidiana. Il gusto, per noi, ma anche per molti protagonisti e lettori, di andare a scovare storie e realtà poco conosciute. È incredibile quanto ci sia bisogno e voglia di far emergere alcune esperienze. Il mondo cambia e non è affatto vero che tutto è un disastro. C’è una ricchezza di esperienze, passioni, competenze che va oltre ogni più positiva aspettativa. Non si tratta di fare gli entusiasti o quelli che non vedono i problemi, anzi...
Il tour ha messo in luce alcuni spunti di riflessione interessanti che vanno oltre la territorialità.
Ci staremo domandando in tanti come mai, malgrado la crisi, l’Italia vada avanti. Con difficoltà, a volte paure e sofferenze enormi, ma va avanti.
Non ci sono risposte semplici o facili perché siamo di fronte a scenari e momenti unici nella storia moderna. Mai era successo che si bloccasse la crescita per tanto tempo. Ed è proprio in questi momenti che emergono diversi piani di lettura possibili, che non possono essere solo il Pil o elementi meramente quantitativi.
La risposta al quesito su come faccia il nostro Paese ad andare avanti sta nella parola responsabilità. Nei comuni, in tutti, e alcuni con numeri da capogiro, esiste un tessuto sociale, associativo inimmaginabile. Luoghi dove ci sono cinquanta realtà attive o paesi dove oltre un terzo della popolazione fa volontariato. Tutte queste persone dedicano tempo, passione e spesso competenze. Gestiscono ormai, in una reale sussidiarietà non da semplici convegni, importanti servizi per la collettività. In questo livello della realtà sociale le persone sono riconoscibili e responsabili di ciò che fanno. Se il presidente di una bocciofila, tanto per fare un esempio, ha bisogno di mille euro per sistemare il campo che ormai è quasi inutilizzabile, si attiva e se non riesce a risolvere il problema ne risponde. Il più delle volte è capace di trovare soluzioni e i suoi concittadini gli riconoscono questi meriti.
Finché stiamo sul piano del volontariato e della piccola comunità i processi di responsabilizzazione sono evidenti e chiari. Appena si sale di un livello iniziano i problemi. Quando poi si passa alla politica tutto sembra irrisolvibile. I dirigenti, siano amministrativi, tecnici o politici hanno un ruolo meno operativo proprio per poter avere uno sguardo più ampio, più lungo, più d’insieme. Per fare un esempio, gli spazi dell’ex lanificio di Somma a fianco del castello non possono ristrutturarli i volontari. Occorre una visione, dei progetti e le risorse finanziarie, oltre che professionali a riqualificare l’area. Ora, girando in tanti posti sorge una domanda: che senso ha aver consentito di distruggere territorio costruendo decine di hotel, anche a Case nuove, quando esistono milioni di metri cubi inutilizzati?
È solo un esempio, molto semplificato, ma ci da la misura di come per le grandi questioni sono previsti grandi ruoli, ma poi sono gli stessi che hanno meno aderenza al concetto di responsabilità. Se il presidente della bocciofila non trova i mille euro necessari ai piccoli lavori, spesso, dopo un grido d’allarme, lascia il suo incarico. Se il politico tale dimostra in più occasioni di non saper vincere, di non riuscire a trovare soluzioni adeguate, anziché dedicarsi ad altro nella vita, spesso viene spostato di posto, quando non promosso. L’esser diventata una professione richiederebbe alla politica maggior responsabilità.
Negli ultimi 30 anni il tessuto sociale “in basso”, a livello della piccola comunità, è diventato sempre più vitale e presente. Ha saputo assolvere a funzioni che chi aveva maggiori responsabilità spesso non conosceva nemmeno. Tutto questo però inizia a dare segni di fatica. La crisi muove energie incredibili e porta a rivalutare usanze dimenticate. La crisi però porta anche a rendere problematiche alcune fragilità e se la paura cresce blocca ogni virtuosità. Come ci raccontava un sindaco, anziché valorizzare la grande passione e volontà di partecipazione, per tagliare i costi della politica si è iniziato dai consiglieri comunali che percepiscono indennità da meno di cento euro all’anno. Così in un piccolo centro le persone impegnate diventano sempre meno e con queste la palestra di civismo e partecipazione democratica. Se lo Stato si muove così qualche dubbio sul futuro viene. E per guardare avanti serve tanta responsabilità oltre a fiducia e creatività. Chissà se quei piani superiori o più alti di cui parlavamo prima sapranno avere quell’umiltà che contraddistingue i tanti presidenti delle bocciofile?
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