"La galera è veramente la cosa più brutta che ti può capitare da vivo, è il punto più basso di un'esistenza. Un buco nero". L'opera prima di Sandro Bonvissuto, il libro di racconti Dentro, si apre con Il giardino delle arance amare. Novanta pagine che davvero "quando le chiudi - come recita la quarta di copertina - continuano ad abitarti, lasciandoti impressa un'emozione duratura".
È il carcere il luogo narrato dal protagonista di cui non sappiamo, e non sapremo nulla, se non che come entra esce da quelle mura senza raccontarci di sé tranne l'emozione dei giorni della reclusione.
"I carceri sono luoghi separati davvero, da cui questa gente uscirà solo per tornare dentro". Lo sguardo di Bonvissuto è duro, ma solo per come si guarda a questa istituzione da fuori. "L'idea malvagia che lo anima come istituzione è proprio quella di far vivere la gente in una perenne fame di spazio. È il principio basilare della detenzione. Sarebbe più onesto se ci si decidesse ad ammetterlo".
In alcune righe la parola diventa come la frusta contro l'ipocrisia di una società che volta lo sguardo dall'altra parte, o peggio ancora fa finta di voler vedere i problemi.
Bonvissuto mette invece umanità nel descrivere rituali, storie, momenti della vita tra le mura. È tenero quando racconta le "professioni" con lo "spesino", lo scriba, l'avvocato. Gente "che si è fatta" dentro, che è considerata autorevole.
Lui per primo non cade nell'ipocrisia di un racconto senza porre lo sguardo nella durezza di un'esperienza che è anche violenza e sopraffazione, ma c'è spazio, per quanto da cercare tra poche righe, per una speranza che parte proprio dall'esperienza umana di chi è dentro.
Sono curioso di leggere gli altri due racconti del libro.
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