"Da quando pratico l'arte 'sta cella è diventata una prigione". Si chiude così Cesare deve morire dei fratelli Taviani. Settantasei minuti di passione. Non solo quella del famoso dittatore, o primo imperatore, Giulio Cesare, ma anche degli spettatori per un'opera di grande originalità.
Il set è tutto dentro il carcere romano di Rebibbia, dove alcuni detenuti hanno partecipato a un laboratorio teatrale condotto da Fabio Cavalli, e culminato nella rappresentazione della tradizionale tragedia shakespeariana "Giulio Cesare".
La cinepresa esce dal palcoscenico teatrale e ci porta fin dentro le celle, nei corridoi, negli spazi dell'ora d'aria. Gli attori sono straordinari e il film ha un avvio strepitoso con la selezione di quelli che chiedono di prendere parte al laboratorio.
Sono facce consumate, molto più vecchie dell'età che dichiarano. Vite tormentate e, per qualcuno, con reati gravissimi alle spalle. Il film non ha alcuna pretesa sociologica, e non parla mai del carcere, ma dà dignità all'impegno dei carcerati-attori. Attraverso questa azione però viene fuori anche un film sul carcere che, insieme con il teatro e il cinema è il grande palcoscenico su cui si snodano tutte le riprese.
Davvero bello e interessante. Impegnativo, ma da vedere. Complimenti a Giulio Rossini e al suo Filmstudio. Si potrà vedere ancora settimana prossima.
1 commento:
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