lunedì 11 giugno 2012

La cicala e la formica

Un frigorifero può cambiare la vita, ma può anche indicare le tante contraddizioni delle nostre culture. Molte popolazioni del Sud del mondo non conoscono le stagioni, e le temperature a cui vivono non consentono di avere il “fresco”, se non per i prodotti alimentari appena colti. È la tecnologia a cambiare queste abitudini, ma tutto è ancora precario e soprattutto troppo recente per aver modificato una cultura millenaria.
Non c’è abitudine a conservare e si vive alla giornata. Si comprende così perché la distanza tra la vita e la morte sia considerata una cosa più naturale e più presente nell’esistenza di tutti i giorni. Si capisce anche perché c’è una attitudine diversa alle relazioni. Un’apertura maggiore all’altro. 
Alle nostre latitudini tutto è diverso. Lo è sempre stato. Le stagioni dettano il tempo e il ritmo della vita. Oggi meno, perché anche da noi la tecnologia ha modificato molto. In ogni caso siamo stati abituati a una certa operosità perché necessaria. Ci siamo inventati le ghiacciaie fatte di pietre perché conservassero il cibo per l’estate. E nelle stagioni più calde si lavorava molto nelle campagne per immagazzinare prodotti per i mesi freddi.
Come non ricordare la favola di Esopo  La cicala e la formica? Peccato che la nostra cultura ne abbia dato sempre e solo una lettura unilaterale, dove la prima, dedita a suonare era la fannullona, mentre la seconda che lavorava per le provviste invernali era la brava. Una posizione che privilegia l’accumulazione e l’operosità a scapito di ogni altra funzione.
Una favola ci permette di conoscere bene la realtà attraverso alcuni simboli, ma non per questo funziona sempre la semplificazione. La cicala ha una funzione importantissima, ma in una lettura superficiale questa non emerge. 
La formica esce allo scoperto solo per cercare i commestibili e non si cura di null’altro, ma intanto questo le permette di vivere e di sostenere la comunità. L’economia sembra così trionfare sull’arte. E del resto si potrebbe vivere solo di quest’ultima? Certamente no, ma da sempre è il bello che genera la felicità. Le cose che più ci fanno stare bene non sono materiali e spesso non servono. Basti pensare alle relazioni amicali, alla musica, all’arte, all’amore. 
Una storia come quella della cicala e della formica potrebbe aiutarci a comprendere bene la situazione in cui una società ricca e opulenta come la nostra sembra essersi infilata. L’accumulazione da sola non basta, non risolve tutto nella vita. 
Oggi abbiamo reali problemi di occupazione, ma anziché cercare soluzioni concrete e anche creative, dove la tecnologia molto potrebbe, si scatena “una guerra tra poveri”. Tra chi chiede una diversa distribuzione dei tempi di vita per garantire altro che non sia la sola questione economica, e chi invece considera già fortunato chi ha un lavoro.
Leggere la realtà a senso unico non aiuta a trovare soluzioni in una società che è diventata sempre più complessa. 
È difficile scoprire quale sia oggi il nostro “frigorifero” che possa cambiare la vita. Lo sforzo di tutti dovrebbe però andare in quella direzione dando spazio anche alla creatività e non alle certezze assolute. Mario Calabresi, in un suo libro di un anno fa, racconta che per sua nonna la rivoluzione fu la lavatrice che le liberava il tempo. Non possiamo pensare che l’unica soluzione oggi sia dilatare i tempi di lavoro pensando solo alla dimensione economica. Se proseguiamo così, magari, passata la crisi, ci ritroveremo con le dispense piene e sempre più incapaci di stare insieme.

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