Solo verde con boschi e prati. Pochissimi villaggi, qua e là riflettono al sole i tetti di lamiera di isolate capanne, e ogni tanto il paesaggio si spezza colorandosi del marrone dei corsi d'acqua.
L'aereo de La Costeña attraversa gli oltre cinquecento chilometri in una giornata di piena luce, con un cielo azzurro, e solo raramente
qualche nuvola colora la vista di bianco, come panna montata.
Da Managua a Puerto Cabezas passa la stessa distanza che c'è tra Roma e Milano. Un'ora di volo tra le due capitali e le altre città. Le analogie si fermano qua.
Puerto Cabezas, o Bilwi, come viene chiamata in miskito, è il capoluogo della RAAN, regione atlantica autonoma del nord. L'autonomia di questo territorio è legata alla forte presenza di popolazione miskita e si parla una lingua meticcia, un mix di spagnolo e inglese che tralascia gli articoli e fonde le parole. È una delle zone più isolate e povere del Nicaragua. C'è una strada sterrata che porta nella capitale, e il bus impiega un'intera giornata a percorrerla quando non incontra qualche ostacolo che impedisce il percorso.
La città resta spesso senza energia elettrica e sono poche le zone dove corre una canalizzazione dell'acqua, così per molte case resta solo la possibilità di usare propri pozzi. L'assistenza sanitaria con il governo sandinista di Ortega è migliorata, ma la situazione rimane lo stesso molto critica. Solo poco tempo fa in un mese sono morti trenta bambini per l'assenza di bombole di ossigeno. La situazione sociale contrasta con un territorio che avrebbe tutte le potenzialità per un diverso sviluppo. Avrebbe e non ha perché prevalgono ancora interessi di piccole oligarchie. A questi si somma spesso anche la furia della natura con uragani devastanti come quello del 2007 che sconvolse intere comunità.
Qui è ancora forte il ricordo della guerra sporca della Contra che seminò morti e distruzione per tutti gli anni Ottanta. I ragazzini spesso dovevano abbandonare la scuola e scappare per non essere ammazzati o reclutati come avvenne in Salvador. Famiglie dilaniate con cugini che si trovavano a combattere in campi avversi. I miskitos si opposero al governo sandinista di liberazione nazionale e così alimentarono la Contra. Oggi molti di loro comandano e beneficiano dei tanti soldi che arrivano in aiuti da queste parti, ma nulla cambia, anzi la situazione peggiora in un immobilismo che non vede prospettive di sviluppo. A questo si somma una dilagante violenza tra bandille di ragazzi che sono senza lavoro e senza speranza di futuro. L'economia che si poggiava sulla pesca di aragoste ora è dominata dal traffico di droga. Una volta i mari dei Caraibi di fronte a Puerto Cabezas erano territorio delle scorribande dei pirati. Oggi sono i trafficanti di coca a padroneggiare. Le rotte verso il Messico e il Nord America passano da qui e quando i narcos incontrano i controlli gettano in mare pacchi di coca calcolando le correnti perché gente fedele del posto recuperi la preziosa merce. Un traffico che ha inquinato la vita sociale della città e delle comunità collegate.
L’impegno e l’importanza di continuare a credere e provare a costruire un mondo diverso viene dai tanti ragazzini che per strada mi fermano sorridenti quando tiro fuori la macchina fotografica. Il loro sorriso, il loro segnale di vittoria, la loro allegria è contagiosa e smonta tutti i pensieri negativi e dubbiosi sul destino di questo territorio. Si può fare, e si deve fare perché, non solo non manchi più l’ossigeno nell’ospedale, ma perché non cessi di essere viva quella sostanza che alimenta la passione e la speranza di un futuro migliore.
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