lunedì 27 aprile 2009

Figli degli sms

"Ragazzi ho 27 anni e non riesco a capire come possano le generazioni venute dopo la mia essere così vuote senza obiettivi senza valori". Il commento di Francesco è uno degli ultimi lasciato in ricordo di Dean. Ne continuano ad arrivare tanti e ancora di più se ne possono leggere sui due gruppi fondati su Facebook. Pensieri in totale libertà, per lo più di ragazzi giovanissimi e di qualche mamma restata sconvolta dal delitto.
C'è tutto uno spaccato di società, con i suoi linguaggi, figli degli sms. Chiara ricorda Dean in modo diretto, "beh ke dire eri speciale x noi c'eri sempre quante risate e anke quante discussioni...a volte mi prendevi in giro e dicevi le cose cn la faccia serissima (e mi facevi prendere male) poi appariva un sorriso e lì capivo ke scherzavi e ci abbracciavamo...bei tempi...ti mando un abbraccio grande...ti voglio bene!!!".
Nei messaggi si mescolano tante cose. Il ricordo, l'affetto, la tenerezza, l'incredulità, tanta rabbia e violenza, ma quello che sconvolge di più è la presunta normalità. Normalità del resto che appare evidente in molti gesti compiuti dai due omicida. E di normale invece in questa storia non c'è proprio niente se non la rassegnazione di una società che sempre più guarda impotente e quasi del tutto inconsapevole di dove si stia andando.
Nei messaggi sulla rete si avverte tutto il disagio, tutta la fatica del crescere, tutti gli stereotipi possibili a partire da quelli espressi, sempre veri per ogni generazione, da Francesco. La vita non può essere solo quella dei micro cosmi personali, quella del "fai da te" quotidiano dove conta solo avere personali soddisfazioni, ricchezza, benessere materiale. Quella che di fronte alla fatica trova subito le scappatoie delle sostanze stupefacenti. Che di fronte all'assenza di spiritualità trova i maghi e i sensitivi. Quella che di fronte all'insicurezza trova il bisogno dell'uomo nero e delle leggi speciali.
Le persone, le famiglie sono lasciate sole al loro destino, stessa cosa vale per la scuola e via via per le poche altre realtà che lavorano nel campo educativo.E così un ragazzino, un po' timido, un po' problematico abbandona la scuola e tutto è normale. E con gli altri, quasi fosse un videogioco, ciondolano in un bar, fanno piccoli traffici, litigano, vagano di notte per la città. E tutto è normale. Questa storia, per quanto lo deformi e lo renda orribile, è lo specchio del mondo degli adulti che vivono chusi nelle loro paure, nelle loro false certezze, nel loro parlare di "vuoto dei valori".
In una società sempre più impaurita e incapace di speranza e di vivere le emozioni ed educare ad esprimere emozioni. Non è tutto così. A due passi dal tipico luogo di incontro dei tre ragazzini c'è un oratorio molto attivo, c'è il campo da rugby dove tanti giovani trovano risposte al loro bisogno di sport, ma anche socialità, c'è lo spazio di Varese corsi. Insomma la città esprime molto, ma non basta. È quella normalità che emerge da questa storia che deve preoccuparci.
E più che cercare improbabili e semplici risposte occorre riprendere a farci domande. È la cosa più difficile, ma forse la sola che potrebbe farci trovare un senso alle tante piccole e grandi follie che vediamo ogni giorno.

editoriale scritto per Varesenews a seguito del delitto di un diciasettenne a Varese

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