sabato 14 marzo 2009

Possiamo farcela

"La crisi economica ha travolto il capitalismo globale e il modello sociale su cui si basa. La speranza è che da questo crollo nasca una nuova cultura".
Si potrebbe concludere qui, con poche parole del sociologo spagnolo Manuel Castells, un possibile manifesto che indichi la strada per uscire da una situazione che si fa ogni giorno più pericolosa. Una nuova cultura che sia fatta di idee, di progetti, di speranza, che metta al centro la voglia di comunità, il senso di appartenenza e scaraventi via il cinismo e facili opportunismi. E su questo ognuno può e deve fare la propria parte.
Il nostro territorio tutti i giorni vede protagonisti soggetti che si assumono responsabilità e provano a cercare soluzioni. Lo fanno le banche locali, le aziende, le associazioni di categoria, il sindacato. Occorre coraggio e soprattutto superare vecchie barriere mentali. Questo non significa non guardare ai singoli problemi, ma avere la consapevolezza che qualcosa sta cambiando e viviamo una fase storica di grandi opportunità oltre che di grandi rischi.
È utile riascoltare le parole di Obama che nel giorno del suo giuramento affermò che “per tanto che un governo possa e debba fare, alla fine è sulla fede e la determinazione del popolo americano che questa nazione si fonda. È la gentilezza nell'accogliere uno straniero quando gli argini si rompono, la generosità dei lavoratori che preferiscono tagliare il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere un amico perdere il posto, che ci hanno guidato nei nostri momenti più oscuri. È il coraggio dei vigili del fuoco nel precipitarsi in una scala invasa dal fumo, ma anche la volontà di un genitore di nutrire il proprio figlio, che alla fine decidono del nostro destino”.
Il presidente fa della speranza il suo cavallo di battaglia e indica strade chiare e forti quando dice che "imbriglieremo il sole e i venti e il suolo per alimentare le nostre auto e mandare avanti le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole, i college e le università per venire incontro alle esigenze dei tempi nuovi. Possiamo farcela. E lo faremo”.
Ma questa non è la sola possibile via d'uscita. Il pericolo più grande oggi è di non cogliere il bisogno di una nuova cultura, che parta dalle responsabilità precise di ogni attore sociale e soggetto privato. Questo lo si può osservare tutti i giorni. Fanno male quanti minimizzano i problemi, ma anche quelli che drammatizzano tutto. Questo è il momento di recuperare un senso di appartenenza che unisca e non divida.
Il segnale dato da una azienda è importante. Non risolve nessuna crisi, ma indica una strada fatta di fiducia e responsabilità. In gioco non c'è solo il benessere economico, ma lo sviluppo della società, la libertà degli individui.
"L'escusione sociale, - spiega Ralf Daherendorf, - può esser sopportabile per l'economia, ma non per la società. Una società che esclude non crede davvero nei suoi valori, cioè i diritti civili fondamentali per tutti. Una società di questo tipo non può meravigliarsi se altri - tra cui i suoi stessi membri, soprattutto i giovani - violano deliberatamente i valori condivisi. Non sono gli esclusi quelli che infrangono per primi le regole del diritto e dell'ordine: è la loro stessa esistenza la causa scatenante di queste infrazioni. Le disuguaglianze sociali del passato creavano quelle contraddizioni che si possono definire lotte di classe. Oggi l'esclusione sociale produce quella sensazione diffusa e fondata di non essere più al sicuro né per la strada né in casa propria. Chi vuol vivere in una società civile e in cui si rispettano le leggi dovrebbe volere l'inclusione di tutte le persone che vivono nel paese."

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