È bastato lanciare un sasso nello stagno e le onde non si fermano più. Questo è il bello, ma anche il rischio della Rete. In questo periodo i media tradizionali riscoprono le “novità” di Internet e come spesso succede scrivono una marea di sciocchezze. Questa volta sotto i riflettori è andato Facebook. Un'agenzia ha pubblicato un articolo con tanto di commenti di due esperti, Paola Vinciguerra e Tonino Cantelmi e si è scatenato un forte dibattito. Interessante la questione del rapporto tra i giornali tradizionali e Internet, ma ancor di più le analisi su come la società digitale e i suoi “prodotti” possono incidere sulla vita reale degli individui. Sul primo, dice Massimo Mantellini, uno dei blogger più famosi, “l'aspetto rilevante della vicenda non è tanto che siano articoli sciocchi e deprecabili (lo sono per carità) quanto che una simile gestione industriale dei contenuti (tutti ricopiano il solito pezzo acquistato, refusi compresi senza preoccuparsi nemmeno di mescolare un po' le frasi o di citare la fonte) rende un pessimo servizio ai siti editoriali stessi ed alla loro reputazione, smontando ogni velleità culturale della gestione delle informazioni”. E questo aspetto della questione lo si può bene chiudere così, almeno per ora.
Sull'altro versante è interessante la ragione che ha fatto scegliere a Tonino Cantelmi il mio blog Maremma. “Il punto di vista del giornalista e la sua reazione e indica la necessità sia di riformulare le modalità interpretative dei fenomeni digitalici, sia di riformualare la comunicazione fra predigitali e nativi digitali. Per esempio: la contestazione degli studenti di questi giorni si nutre di passaggi tra vecchie e nuove forme di comunicazione, che i rappresentati delle istituzioni non capiscono”. Un commento che ha stimolato a intervenire Stefano Bussolan che risponde a Cantelmi affermando che “da psicologo psicoterapeuta quale sono, l'articolo del Corriere mi scandalizza. Le evidenze empiriche (leggi articoli scientifici) dimostrano che la realtà va in direzione opposta a quella che tu sostieni: le persone che usano FaceBook sono sostanzialmente più sane, in termini psicologiche, di quelle che non lo usano. Ho riportato i risultati di tre studi su un mio post.Un botta e risposta a cui Cantelmi non si sottrae. “Se Facebook è terapeutico, lo è perchè risponde ad una preliminare crisi della relazione interpersonale, che caratterizza la nostra condizione. Ma il tutto è indubbiamente da leggersi in una prospettiva diversa: i nativi digitali saranno diversi? Cioè siamo alle soglie diuna mutazione antropologica, come sostiene qualcuno, che noi psichiatri predigitali interpretiamo con categorie che attengono ad una espressività psicopatologica predigitalica?”
La riflessione si fa profonda e merita certamente analisi ulteriori che non possono esaurirsi in articoli di giornali. Il nostro lavoro dimostra però che ci sono modi diversi di trattare temi così importanti che coinvolgono milioni di esseri umani e si diffonderanno sempre più. La superficialità non aiuta a capire e soprattutto è un cattivo servizio sempre.
Il fascino dei social network è innegabile e liquidare la loro funzione come affare di qualche “sfigato” significa non voler vedere e non voler capire. Basterebbe riflettere solo su quali opportunità aprono nelle relazioni e le ragioni di questo articolo ne sono subito una prova elementare. Quando mai un lettore, un cittadino qualsiasi avrebbe potuto interloquire in modo diretto con professionisti come sta succedendo ora? Quando mai in un contenitore di relazioni queste possono esistere a prescindere dallo spazio, dal tempo, dagli status sociali, dalle opinioni politiche? Da qui a vivere una sola dimensione digitale ce ne passa anche perché come si scriveva nelle ultime righe del post che ha scatenato il dibattito, “sono su Facebook, lo uso poco, solo a volte mi diverte. Uso molti altri strumenti della rete e ci lavoro. Emozioni e passioni sono le parole che uso di più e non possono certamente fare a meno di colori e profumi che richiedono contatti reali. Internet resta un potente strumento di comunicazione e non la scatola dei maghi”.
Questo articolo esce con altri oggi su Varesenews.
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