“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. L’articolo 21 della Costituzione è chiaro e segue un principio fondamentale dove si afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Siamo di fronte a uno dei presupposti essenziali per un paese moderno e democratico. Una garanzia non per i giornalisti e gli editori, ma per tutti i cittadini. Quanto invece sta succedendo in Italia in queste settimane è il sintomo di una società malata che sta smarrendo ogni prospettiva di crescita umana e culturale.
La manifestazione del primo luglio e la giornata di silenzio fissata per il 9 sono gravissime. Lo sono perché la protesta non ha alcun carattere corporativo. Di fronte al tentativo di mettere il bavaglio all’informazione i vertici della federazione nazionale della stampa parlano di una “resistenza civile del 21 secolo che mai avremmo pensato di inaugurare”.
Tutto nasce dal decreto sulle intercettazioni. Un provvedimento che viene presentato come un’esigenza primaria per tutelare la privacy, ma che in realtà ha un unico scopo: impedire che i giornalisti, e non soltanto loro, possano raccontare e quindi far conoscere quello che riguarda il potere. Un provvedimento anche molto pericoloso per la lotta alla criminalità.
Di fronte a tanti problemi che stiamo vivendo, l’agenda politica e istituzionale è sempre alla rincorsa su questioni che riguardano solo la difesa di chi esercita il potere. L’Italia continua così a spaccarsi a metà come una mela ripercorrendo quella tradizione delle battaglie tra Guelfi e Ghibellini. Un dispendio di energie da fare paura. Se fosse possibile un calcolo di quanto ci costa questo bisogno di “resistenza”, non solo in termini economici, resteremmo allibiti tutti.
La domanda lecita che si dovrebbe fare ogni cittadino è sul perché di tanta urgenza oggi su questi temi. Ci stiamo accorgendo ormai da troppo tempo che nella contrapposizione trova poco spazio il ragionamento serio e pacato. Il potere mostra così tutta la propria arroganza e incapacità di pensare seriamente ai bisogni della comunità. Un comportamento che non permette nemmeno di stimolare cambiamenti che non possono essere ulteriormente rimandati in un settore, quello dell’editoria, che vive una stagione di grandi fermenti, ma anche di profonda crisi. Così facendo resta solo lo spazio per una contrapposizione forte che non serve a niente e a nessuno, ma tanto è.
In questo momento non si può tacere. Farlo sarebbe esser conniventi con quanti non vogliono alcun controllo, e vorrebbero che gli italiani pensassero solo ai propri interessi personali. Una società così sarebbe meno democratica, più individualista, più egoista e meno matura. Per queste ragioni, “non clandestinamente, ma alla luce del sole ripeteremo che la libertà è un bene fondamentale, che è conoscenza e chi considera l'informazione un pericolo sarà sconfitto”.
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