Non c’era nessuno ad aspettarli. Questa l’immagine più forte e più triste della disfatta della nazionale ai mondiali.
A Fiumicino giusto qualche fischio da parte di una decina di tifosi. A Malpensa nessuno dei giocatori si è fermato infilandosi furtivamente nelle auto dai vetri oscurati che li attendevano in un aeroporto deserto.
Finisce con questa immagine l’avventura della squadra di Lippi.
Mai come oggi quanto successo in Sud Africa rischia di diventare un esempio perfetto dello stato del nostro Paese. In un mondo che sta cambiando con ritmi vertiginosi, l’Italia si è presentata vecchia, senza idee e con i vizi peggiori. Tutto questo a partire dal leader che, il giorno dopo la vittoria di quattro anni fa, se ne era andato perché riteneva chiuso un ciclo. E invece è tornato. E lo ha fatto quasi fosse il salvatore, il saggio, il più grande. Con una presunzione e una spocchia fastidiosa anche per quanti non capiscono nulla di calcio.
Invece di guardare avanti Lippi ha portato in Sud Africa un gruppo senza identità. Né carne, né pesce, come si è soliti dire in tante occasioni. Non ha avuto il coraggio di aprire una nuova fase con un rosa di giovani, portando invece “veterani” senza però quell’estro dato dai tanti lasciati incomprensibilmente a casa. Stare così in mezzo ha prodotto il peggiore dei risultati.
Una squadra finta, senza anima, senza gioco. L’allenatore, dopo la disfatta, si è assunto le proprie responsabilità dichiarando che con il suo fare ha impaurito e bloccato i giocatori. Non può bastare.
La Nazionale si è davvero rivelata l’immagine di un’Italia che non sa scommettere sui propri talenti, su quelli più creativi e originali. Sono stati lasciati a casa Totti, Cassano e Balotelli, solo per fare dei nomi, perché hanno personalità meno convenzionali, e si è puntato sul già noto, su ciò che ha funzionato in passato, ma non è detto che funzioni per il futuro. Come i fatti hanno dimostrato.
L’Italia è ferma e guarda solo a se stessa. Intanto in Sud Africa non c’è solo Shakira con il suo Waka Waka a dimostrare quanto sta cambiando anche nel calcio. Dall’America arriva un vento diverso, nuovo, pieno di entusiasmi e di voglia di protagonismo non solo in termini calcistici. Negli ultimi vent’anni non c’era mai stato un risultato così positivo per le squadre di quel continente. Sono sette le finaliste mentre il Vecchio continente non era mai andato così male. Solo sei squadre hanno passato le fasi eliminatorie.
Il calcio è stato spesso usato come metafora per raccontare la vita.
Varese stavolta si distingue. È ancora forte l’eco per la conquista della serie B. Un traguardo che solo tre anni fa era inimmaginabile. Le ragioni di questa impresa sono tante. Un leader travolgente, uno spirito di squadra, l’umiltà, ma soprattutto l’esser veri e credere ai sogni.
Non è difficile, magari non sempre si vince, ma almeno ci si prova, si gioca e ci si diverte.
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