mercoledì 14 aprile 2010

Le donne non invecchiano mai

"Non è una cosa da niente ammettere la dipendenza dalla voglia di uomini quando si è fatta dell'indipendenza dagli uomini una battaglia campale della propria vita. Ma è possibile che sia ancora il loro sguardo a stabilire chi e cosa siamo? A determinare la data di scadenza della nostra femminilità come fossimo yogurt o piselli in scatola?"
In queste frasi potremmo riassumere il libro della Iaia Caputo, Le donne non invecchiano mai.
Il titolo, come dice la stessa autrice, è un po' provocatorio e a tratti anche fuorviante perché il femminile è protagonista non solo legato al tempo.
Il libro ha una partenza folgorante. Davvero bello, poi in diversi capitoli si avverte uno scollamento, una specie di collage scomposto dove trovano spazio diverse narrazioni non sempre con un filo logico. Mi ha infastidito più volte il ritrovarmi a pensare al testo della canzone Cara ti amo di Elio e le storie tese. Un pensiero automatico che "inquinava", ma che l'autrice mi ha scatenato. Certamente è una lettura al maschile, ma il fascino sta proprio in questa contraddizione, che allora vivadio valorizziamo. Altrimenti si invecchia eccome. In questo schema oppositivo con il maschio, che poi rappresenta anche il potere, visto che è lui che gestisce ancora molto, quasi tutto, sembra non trovar spazio un'alternativa, una diversità. La ricchezza delle donne qui appare quasi rattrappita sempre per colpa di qualcosa che è fuori da sé.
"Invecchiare per le donne, - racconta la Caputo in un'intervista, - è diventata una faccenda più complicata. È un'esperienza del corpo non rinviabile, tangibile con effetti tangibili. È complicato in questo paese perché le donne sono assenti nella scena pubblica e sono tornate come corpi al grado zero del pensiero. Le donne con il passare degli anni sentono che il tempo le cancelli e pensano di essere di meno, contare meno. Il tempo genera un sentimento di perdita ed è un sentimento profondamente ingiusto. C'è stato un cambiamento spaventoso, antropologico del paese che è corrotto dal denaro. C'è tutta la dimensione simbolica del maschile più becero".
Nel libro ci sono spunti forti di riflessione e altri veramente fastidiosi. Che bisogno c'era di fare tutta una tiritela contro la tecnologia? Che bisogno ne ha una donna giovane, affermata, che svolge una professione che dovrebbe vivere costantemente spinta dall'innovazione? Perché ammiccare a quanti davvero sentono come una fatica (ed è logico sia così) questo continuo dover cambiare?
E così nell'epilogo si compie la chiusura di tutta la contraddizione possibile (anche nella sua accezione positiva del termine) quando l'autrice "mette su" un cd di Carlos Santana e chiude il libro pensando a che bella musica e a quanta felicità le faccia passare. "Ma subito dopo, pentendomi già in qull'istante, pronta a rimangiarmi tutto, non ho potuto fare a meno di pensare: però che bella musica era la musica del mio tempo".
Amen.

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