martedì 6 aprile 2010

La Rai che non c'è

Per i ragazzini sarà diverso, ma nell'immagginario collettivo di intere generazioni la Rai è la televisione. Un po' come l'Enel per l'energia elettrica o la Telecom per i telefoni.
Poi tutto è cambiato, o quasi. Gilberto Squizzato con un libro poderoso, La tv che non c'è, edizioni minimum fax, si chiede come e perché riformare la Rai. "L'urgenza più immediata e vitale è oggi per la Rai quella di svincolarsi dalla presa soffocante della politica partitica, e prima ancora quella di sapere finalmente che cosa ci sta a fare, in un paese come il nostro, un servizio pubblico televisivo".
Due questioni mica da poco. E Squizzato con "un'inchiesta da insider", vista la sua trentennale esperienza da giornalista, autore e regista Rai, ci entra dentro con coraggio. Non si limita a raccontare cosa non va, ma nella seconda parte del suo saggio azzarda una serie di idee e proposte molto concrete.
"Alla Rai, - racconta l'autore, - serve il coraggio e l'umiltà di rimettersi in gioco come fabbrica di innovazione, di cultura radiotelevisiva popolare e insieme anche alta, liberandosi dal complesso di inferiorità che forse nutre nei confronti di tv e network ben più agili nell'approntare novità stilistiche, espressive e narrative".
Per far questo però è "necessario che la Rai diventi una società autenticamente pubblica, anzitutto dotandosi di un rigoroso sistema di selezione della propria dirigenza e del proprio corpus editoriale, secondo l'unico criterio accettabile: quello della competenza specifica e settoriale". Insomma fuori le ingerenze politiche che ben sono raccontate in diverse parti del libro e in modo straordinario nel capitolo che narra "l'incredibile anomalia italiana" dove "i vincitori delle elezioni considerano la Rai come bottino di guerra impadronendosene per consolidare il proprio potere".
Squizzato soffre per questa situazione. È una sofferenza di chi conosce, analizza, studia e ha una forte passione civile per la tv pubblica. Non si ferma qui però e negli ultimi capitoli del libro disegna "la mappa possibile di una nuova Rai". Riflette sulle ragioni di una televisione di stato, sui contenuti, sull'organizzazione, sui prodotti. Crede si possa ancora salvare l'immenso patrimonio che, anno dopo anno, è stato depauperato. Non si ferma alla sola attività di denuncia o ad alzare barricate che garantisca una o l'altra professionalità, ma ragiona dalla parte del cittadino e anche dei tanti professionisti che hanno voglia di continuare a credere alla Rai.

È un libro importante per tutti, ma certamente utile per gli addetti ai lavori.

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