domenica 11 aprile 2010

Chi non radica non rosica. Ovvero l'identità avvelenata

Grande Riccardo Chiaberge. Il suo Contrappunto di oggi sul Domenicale del Sole 24ore affronta il tema dell'identità.
"La parola d’ordine è una sola: identità. - Scrive Chiaberge nella parte centrale dell'articolo - Un concetto buono per tutti gli usi, a destra come a sinistra. Che nobilita qualsiasi cosa, dallo Slow Food ai Natali senza immigrati, dal lardo di Colonnata ai concorsi riservati agli insegnanti nativi della regione. Ma attenti, identità è «una parola avvelenata», avverte Francesco Remotti. Addirittura? Sì, spiega l’antropologo nel suo saggio L’ossessione identitaria (Laterza). Se una cultura «può essere paragonata a una mappa, o meglio a un insieme di mappe per orientarci nella complessità del mondo», per Remotti una cultura basata sull’identità è una cultura «impoverita», perché «riduce troppo drasticamente la complessità», «sostituisce alle relazioni, agli intrecci, alle sfumature, ai coinvolgimenti, alle reciproche implicazioni una logica fatta di mere divisioni, di separazioni, di opposizioni». Una logica schematica, che contrappone «noi» e «gli altri». Senza considerare che i «noi» dei quali ognuno può far parte sono infiniti e variabili: famiglia, villaggio, squadra di calcio, partito, chiesa, scuola, amicizie, mentre l’identità è una dimensione permanente e stabile... Un mito, insomma, del quale sarebbe più saggio fare a meno".
Sul tema consiglio la lettura anche dell'Intervista sull'identità di Zygmunt Bauman per Laterza. Il sociologo polacco spiega con una lucidità notevole come sta cambiando il concetto di identità nella società contemporanea.
"L'idea di un «mondo migliore», se non del tutto scomparsa, è evaporata allo stato di rivendicazioni contingenti di gruppi o categoria. Rimane indifferente verso altre privazioni e menomazioni e si guarda bene dall'offrire una soluzione universale e onnicomprensiva ai problemi umani".

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