Campare con novecento euro al mese. Non è il titolo di un film o di un libro, ma quello che stanno vivendo da mesi decine di migliaia di lavoratori in provincia di Varese. Il nostro territorio ha un primato a cui rinunceremmo con grande piacere. Primi in Lombardia per richiesta di ore di cassa integrazione. Nel 2009 abbiamo superato i 53 milioni di ore, pari a 28.745 posti di lavoro con un’incidenza della cassa sui dipendenti pari al 9,68%.
In Italia, secondo i dati diffusi dall’Inps, sono state richieste oltre un miliardo di ore e in tutta la Lombardia oltre 273 milioni.
Numeri da capogiro che danno un'idea del livello della crisi che stiamo attraversando.
A questa occorre reagire e ognuno deve fare la sua parte.
Esiste una questione economica, una sociale, ma anche una culturale. E ognuna di queste investe gli stessi soggetti: i lavoratori, le imprese, lo Stato e i cittadini tutti.
Fa bene il sindacato a chiedere un’attenzione e delle risposte concrete di fronte alla crisi. Fanno bene le associazioni di categoria a chiedere le riforme perché si esca da una stagnazione che non è solo di natura economica, ma anche politica e culturale.
Nell’immediato resta però importante analizzare il dato occupazionale e fa bene l’economista Tito Boeri a lanciare una provocazione forte. "A lungo andare si può finire per lasciare molti lavoratori aggrappati a posti che non hanno un futuro, pur di mantenere formalmente un posto in azienda, magari integrando trattamenti inferiori ai 900 euro al mese con lavori in nero. Il tutto interamente a carico del contribuente, dunque tassando anche quelle iniziative imprenditoriali che avrebbero la possibilità, se meno gravate dalle imposte, di creare nuovi posti di lavoro".
Insieme a una risposta concreta per decine di migliaia di lavoratori, e si tenga conto che a questi si aggiungono oltre mille piccole aziende che hanno la cassa integrazione in deroga, occorre avere il coraggio di cercare nuove strade.
Nessuno ha aperto un reale dibattito sul cosa fare di così tante ore "liberate" dal lavoro Come è possibile che lo Stato, le comunità locali, gli attori sociali non si interroghino di cosa fare durante periodi di crisi generale? Possibile che non si riesca a superare una visione meramente economica e finanziaria della questione e non si possa progettare modalità di uso di tutto questo tempo? Le soluzioni non sono semplici, ma continuando così abbiamo solo la certezza che si "metta una toppa" e basta. Come qualsiasi "ammortizzatore" anche la cassa integrazione non garantisce affatto che il mezzo proceda meglio se non sono a posto tutti gli elementi. E quando i numeri diventano così grandi elaborare analisi e proposte diventa un imperativo per tutti. Non provarci significa subire impotenti ogni crisi. E non serve a niente continuare a ripetere che nulla sarà più come prima, se non ci si adopera per uscire da schemi già visti.Il costo di questo immobilismo altrimenti ricadrà su tutti. Sui lavoratori, sulle aziende, e sui cittadini che dovranno contribuire a sostenere questo modello.
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