Beh leggendo Stabat mater di Scarpa una certa passione scatta. La stessa che pervade e salva Cecilia, la protagonista della storia che da sedici anni vive all'Ospitale, un orfaotrofio in cui è stata abbandonata in fasce.
È la musica e le lettere che scrive nel cuore della notte alla Signora madre a farla crescere. L'incontro con la morte con cui dialoga per una parte del racconto è l'altro elemento del romanzo.
Profondo, intenso, emozionante, il libro di Scarpa scorre lasciando l'amaro in bocca non per la fine della storia, ma per la brevità. Le note finali sono ricche a completare un lavoro maturo.
"Si nasce per scappare via da un corpo destinato a morire. Qualcosa dentro di noi si rende conto che è destinato a spegnersi per sempre, e allora reagisce, fugge. I bambini sono la paura di morire che fugge via dai nostri corpi mortali." si dice Cecilia in uno dei tanti dialoghi interiori. E prosegue, "A questo mondo ognuno si innamora del suo fantasma. Ci scambiamo i nostri fantasmi. Ci aspettiamo che le persone in carne e ossa entrino dentro il contorno dell'immagine adorata che abbiamo fantasticato su misura per noi, vorremmo che lo indossassero come una seconda pelle che ne trasfigura i lineamenti e la taglia".
C'è tanto di malinconia, di dolore, ma anche di profondo riscatto e capacità di liberazione. E sarà don Antonio Vivaldi e la sua musica a scatenare questa trasformazione nel cuore di questa fragile e forte creatura.
Un intreccio di emozioni e pensieri che crescono via via che la storia, semplice in apparenza, in un crescendo di forza e di intensità portarà a un epilogo inaspettato.
Da leggere anche se questo libro ha diviso i lettori nettamente in due tra quelli che lo hanno amato e quanti lo hanno considerato quasi illegibile.
Io sto con i primi e un grazie al mio fratello Michele che sempre è da stimolo alle mie ricerche.
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