Di fronte a tanti problemi in Italia per i giovani il dilemma sembra espresso in due verbi: andare via o restare. Messa così tutto diventa davvero riduttivo. La lettera del direttore generale della Luiss Pier Luigi Celli ha il merito di aver sollevato un dibattito in modo forte. Le sue parole sono pesanti. Un atto di accusa verso un Paese che sembra non più in grado di risollevarsi. Almeno non in tempi brevi.
Parole però che sono anche sconcertanti perché pronunciate da un uomo che fa parte integrante di quel sistema che lui stesso attacca.La classe dirigente ha il dovere di proporre soluzioni e di battersi perché diventino attive e rendere così sempre migliore il proprio Paese. Se questo non è possibile o le proprie proposte escono sconfitte è necessario ritirarsi. Uno dei mali dell'Italia è che questo non succede mai. E non succede a qualsiasi livello e Celli ne è un perfetto esempio.
Abbiamo un Paese bloccato perché non è capace di guardare al futuro, perché è fermo a discutere su priorità fissate per interessi personali. Un Paese alle prese sempre e a tanti livelli con conflitti di interessi che sviluppano un sistema di veti incrociati che blocca tutto.
Tutto questo produce sfiducia, rinuncia alla volontà di cambiamento. Se uniamo questa situazione a quella sociale che ha sempre più spesso al centro il tema della paura ne viene fuori un cocktail letale.Ci dibattiamo dentro questo stato di cose, ma la risposta non può essere gettare la spugna e andarsene. E proporre questo come unica alternativa ai propri figli è davvero devastante.
Nella lettera di Celli manca completamente un'analisi del mondo che viviamo. Non ha più alcun senso guardare ai fenomeni fermandosi all'Italia. Negli ultimi dieci anni tutto è cambiato. I procesi di globalizzazione li abbiamo sotto gli occhi ogni istante e se vogliamo cercare di guardare al futuro non possiamo più prescindere da questo dato. Non ci possiamo permettere di avere paura di fronte al cambiamento epocale che stiamo vivendo perché è come abbandonare tutti sul campo durante una battaglia tremenda. Ma noi non siamo affatto in battaglia e se lo fossimo abbiamo armi per poterla combattere. La più efficace è la nostra storia, la nostra cultura. Noi siamo il paese del Rinascimento, di Dante, di Leonardo, ma è bene non dimenticare che siamo anche quello del Medioevo e delle crociate. Dobbiamo scegliere che strada prendere. Scegliere se aprire i cuori e le menti o se se lasciar passare solo la paura e chiudersi dentro i castelli e riprendere a bruciare le streghe.
L'Italia ha grandi ricchezze e proprio mentre Celli inviava la sua lettera a Varese arrivavano un centinaio di studenti da varie zone del mondo a studiare i casi di una media azienda di Brunello e di una grande multinazionale a Comerio.E tutti i giorni mille ricercatori da tutta Europa studiano a Ispra. Il mondo è bene saperlo non finisce in Italia. Noi però ne facciamo parte e possiamo attrarre cervelli oltre che farne fuggire. Possiamo farlo solo a condizione che questo Paese riacquisti fiducia e offra un clima sereno in cui, insieme a tante altre cose importanti, si torni anche a cantare nelle piazze e nei parchi.
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