Il racconto di il tempo che vorrei, l'ultimo romanzo di Fabio Volo, corre in parallelo tra le due situazioni affettive fino a ricongiungersi alla fine in un intreccio di sentimenti via via sempre più forti. Il lavoro è la dimensione dove, dopo un'iniziale crisi, il protagonista trova la sua maggiore affermazione. Con questo i rapporti con alcuni amici, Nicola e Giulia in particolare. L'amicizia e il sesso restano i leit motiv dove l'autore riesce meglio nelle sue spericolate descrizioni.
Fabio Volo ha il grande merito di raccontare in modo semplice e diretto le emozioni. In il tempo che vorrei però questa narrazione incespica, a volte diventa banale, ripetitiva. Figlia di cliche già sperimentati. Una sorta di copia incolla di citazioni proprie e altrui. Spesso è come ritrovarsi in pagine già lette, ascoltate, riportate. Quando racconta come Lorenzo/Fabio hanno imparato a leggere è interessante, ma poi subito dopo si trasforma in un Nick Horby de "noi artri".
Insomma questo romanzo ha alcuni spunti belli, a tratti questa capacità di raccontare le sofferenze di una famiglia piccolo borghese, ma poi il romanzo resta lì con una storia debole e una narrazione sempre uguale.
Peccato, malgrado alcuni momenti davvero emozionanti di questo romanzi, dopo gli utlimi due bei libri questo segna un passo indietro.
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