venerdì 9 gennaio 2009

Il tifo e il sangue dei bambini a Gaza

Ottocento morti e tremila feriti. E il sangue non cesserà di scorrere a Gaza. Da qui, a sole poche centinaia di chilometri di distanza da quel conflitto, tutto è diverso. Questo non basta però ad accettare un clima davvero brutto che si respira in questo periodo. Si sente sempre più spesso parlare di questo conflitto quasi come se fosse una partita di pallone, dove a vincere su tutto è il tifo. Una sorta di appartenenza acritica che ormai anima il dibattito politico del nostro Paese su ogni questione. Anche i media spesso cadono in questo terribile atteggiamento dando voce a persone che non solo non ne sanno niente, ma che non argomentano le proprie posizioni se non ripetendo posizioni ideologiche precostituite.
Insomma si fa il tifo e basta. Questo è assurdo già in casa nostra, dove la politica ha sostituito i campi di battaglia, e per duro che sia lo scontro si fa solo verbale.
A Gaza non si confrontano due eserciti. Quella forma di guerra quasi non esiste più, e chi sta nelle zone interessate al conflitto ne parla chiaramente. Certamente è difficile districare la matassa delle cause, delle ragioni, dei torti, ma oggi l'equidistanza assomiglia tanto alla complicità. Chiedere di far cessare la carneficina a cui si assiste ogni giorno non significa scegliere una parte. Per una volta dimentichiamo il tifo e proviamo ad ascoltare e a credere sia possibile trovare vie d'uscita ai conflitti che non preveda solo la forza.

L'intervista al consigliere comunale di Varese Flavio Ibba

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