Tema su cui Barack Obama viene chiamato in causa continuamente. È la storia che lo impone al di là di ogni buona volontà. Il presidente finora si è mosso con grande maestria e in un anno di crisi devastante per il proprio paese ha lanciato messaggi distensivi e di pace. Ma oggi è chiamato a compiti sempre più diffcili.
Il cammino di Obama è stato profondo e ha dovuto affrontare questioni profonde che hanno a che fare non solo con la sua storia e quella del suo paese. Il suo linguaggio è figlio di quella crescita, di quella consapevolezza e sa che può cambiare gli Stati uniti. La riforma del sistema sanitario è un esempio, ma non l'unico. È un passo storico che si somma a quelli fatti per togliere mille discriminazioni che sotto Bush erano solo cresciute. Basti pensare all'abolizione delle differenze salariali tra uomini e donne, alla riapertura dei diritti nei confronti di ogni diversità. Sul tema della guerra vivrà la più profonda delle contraddizioni e con queste deve fare i conti.
È utile per riflettere quanto scrive Vittorio Zucconi su Repubblica.
"Le parole non hanno vinto, non ancora... La "bushizzazione" di Obama è dunque avvenuta, manifestata nell'inasprimento progressivo del linguaggio? La "educazione sentimentale" del giovane Barack è completa? Non proprio. Obama è un presidente che deve fare la guerra a chi lo attacca, ma non è, e non vuole considerarsi, un "presidente di guerra". "Non ha l'ethos e il mito del guerriero che ossessionavano Bush" dice sempre Brennan, "ha la cultura del costituzionalista con il terrore di stravolgere la Costituzione". Ma la guerra picchia ai vetri dello Studio Ovale, con la eterna tentazione della vendetta".
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